C’è una bolla immobiliare nel cuore dell’Europa
I tassi a zero hanno reso vulnerabile l’immobiliare UE. UBS: quattro città in territorio «bolla». E nei grandi centri la casa è sempre più un lusso
Ben 19 dei 31 Paesi dello Spazio Economico Europeo (i 28 della UE più i 3 associati) «evidenziano alcune vulnerabilità» sul fronte immobiliare con inevitabili ripercussioni sulla «stabilità del sistema finanziario». Buona parte delle nazioni in esame, in altre parole, si troverebbero «in una fase espansiva stabile o matura del ciclo del mercato immobiliare residenziale» e alcune di esse non si sarebbero nemmeno riprese del tutto dagli effetti della «crisi finanziaria globale».
È la sentenza pronunciata nei mesi scorsi dallo European Systemic Risk Board o ERSB, l’agenzia per il rischio sistemico della BCE. Nella lista dei più a rischio si collocano Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Svezia e Norvegia. L’elenco dei vulnerabili comprende poi Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Islanda, Malta, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Regno Unito. La causa? La solita combinazione di fattori macro, chiaramente.
Ben 19 dei 31 Paesi dello Spazio Economico Europeo (i 28 della UE più i 3 associati) «evidenziano alcune vulnerabilità» sul fronte immobiliare con inevitabili ripercussioni sulla «stabilità del sistema finanziario». Buona parte delle nazioni in esame, in altre parole, si troverebbero «in una fase espansiva stabile o matura del ciclo del mercato immobiliare residenziale» e alcune di esse non si sarebbero nemmeno riprese del tutto dagli effetti della «crisi finanziaria globale».
È la sentenza pronunciata nei mesi scorsi dallo European Systemic Risk Board o ERSB, l’agenzia per il rischio sistemico della BCE. Nella lista dei più a rischio si collocano Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Svezia e Norvegia. L’elenco dei vulnerabili comprende poi Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Islanda, Malta, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Regno Unito. La causa? La solita combinazione di fattori macro, chiaramente.
Immobiliare europeo a rischio
Preoccupanti, tanto per cambiare, «i livelli di indebitamento e i prezzi sopravvalutati». Ma anche gli effetti delle politiche fiscali e dei piani regolatori dei centri urbani – tutti fattori da prendere in considerazione quando si formulano ipotesi sull’andamento del mercato – oltre ovviamente alla politica monetaria. Anche qui niente di nuovo: la strategia accomodante della BCE – destinata a proseguire a tempo indeterminato secondo quando dichiarato recentemente dalla neo presidente di Eurotower Christine Lagarde – si è tradotta in tassi di riferimento nulli (costo del denaro) che hanno prodotto a loro volta mutui low cost (influenzati da un mercato interbancario “sottozero”, leggasi euribor negativo dalla fine del 2015) alimentando così la domanda di case.
Ma la grande festa espansionistica fa sempre i conti con il convitato di pietra: la debolezza della crescita economica. Sul cui futuro, e non è certo una novità, aleggiano gli spettri Brexit, Trump e rallentamento cinese (per tacer dell’automotive). «Con l’indebolimento delle prospettive economiche – scrive l’ERSB – cresce il rischio di una recessione che potrebbe avere un impatto sul ciclo immobiliare determinando una cristallizzazione delle vulnerabilità individuate».
UBS: c’è una «bolla» nell’Eurozona
L’allarme dell’agenzia BCE è condiviso da uno dei maggiori osservatori del mercato immobiliare: la banca svizzera UBS. A settembre l’istituto ha pubblicato il suo consueto rapporto annuale sul comparto, giungendo sostanzialmente alle medesime conclusioni. I tassi tendenti allo zero favoriscono la formazione di una «bolla» (testuale) nell’Eurozona. Ma c’è dell’altro: nelle 24 città analizzate – tutti grandi centri globali – il boom è ormai alle spalle. Tra il 2014 e il 2018 i prezzi sono aumentati in media del 35% ma nell’ultimo anno il tasso di crescita è rimasto pressoché invariato. Non accadeva dal 2012.
Italia e Spagna giocano al rialzo
Nella definizione di UBS la bolla altro non è che «una sostanziale e duratura errata valutazione di prezzo di un bene (in questo caso un asset immobiliare) la cui esistenza non può essere provata se non al momento dello scoppio». La questione, insomma, è data dalla corrispondenza o meno tra l’ipotesi (il prezzo di mercato) e la realtà (i fattori materiali o immateriali che determinano un presunto “giusto prezzo”). Per questo il rischio bolla si misura con un indice e non con una semplice variazione percentuale di prezzo. E sempre per questa ragione, per forza di cose, mercati nazionali e città non a rischio possono sperimentare comunque risalite di prezzo rilevanti nel medio o lungo periodo.
L’esempio tipico lo fornisce la Spagna. Tecnicamente, il Paese simbolo del boom del mattone non può dirsi in bolla, ma i grandi centri economici registrano continui rialzi. Dal 2016, i prezzi degli immobili residenziali a Madrid e Barcellona sono aumentati di oltre il 30%. Persino in Italia, dove gli immobili costruiti prima della crisi hanno perso quasi un quarto del loro valore, c’è chi va in forte controtendenza. Alla fine del primo trimestre 2019, ad esempio, i prezzi medi registrati a Milano segnavano +10,8% su base annuale e +4,6% rispetto a tre mesi prima, in netto contrasto con la media nazionale (-0,5% nel periodo gennaio-marzo).